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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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I doveri, II, 24
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originale
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[24] Sed iis, qui vi oppressos imperio coercent, sit sane adhibenda saevitia, ut eris in famulos, si aliter teneri non possunt; qui vero in libera civitate ita se instruunt, ut metuantur, iis nihil potest esse dementius. Quamvis enim sint demersae leges alicuius opibus, quamvis timefacta libertas, emergunt tamen haec aliquando aut iudiciis tacitis aut occultis de honore suffragiis. Acriores autem morsus sunt intermissae libertatis quam retentae. Quod igitur latissime patet neque ad incolumitatem solum, sed etiam ad opes et potentiam valet plurimum, id amplectamur, ut metus absit, caritas retineatur. Ita facillime quae volemus et privatis in rebus et in re publica consequemur. Etenim qui se metui volent, a quibus metuentur, eosdem metuant ipsi necesse est.
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traduzione
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24. Coloro che esercitano il comando opprimendo i cittadini con la forza, impieghino pure la crudelt?, come i padroni nei confronti degli schiavi, se non possono governarli in nessun altro modo. Ma quelli che, in una libera citt?, si pre parano a farsi temere, raggiungono il massimo dele follia. Bench? le leggi siano conculcate dalla potenza di un uomo e la libert? sia intimidita, tuttavia sia le une che l'altra emergono di quando in quando o in taciti giudizi o nelle elezioni segrete per qualche carica. Pi? penetranti sono i morsi della libert? perduta che non di quella costantemente mantenuta. Accogliamo questa considerazione, che ha una vastissima applicazione e non vale solo per l'incolumit? dei cittadini, ma soprattutto per la ricchezza e la potenza, e cio? di tener lontano il timore e conservare la benevolenza (dei cittadini). Cos? con grandissima facilit? otterremo ci? che vorremo sia negli affari privati che nella vita pubblica. Giacch? coloro che vogliono essere temuti, necessariamente devono essi stessi, a loro volta, a temere quegli stessi dei quali dovrebbero essere temuti.
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